giovedì 6 marzo 2014

Ragazzi di Lucania


Ragazzi a pugno chiuso
Ho trovato sempre grande dignità nelle piccole cose. Gli abiti, evidentemente usati o di poco pregio, lavati e stirati con cura dalla mamma. L'odore fresco di sapone sul viso e la riga al lato dei capelli. In un immaginario globalizzato che esistano ancora dei "ragazzi di Calabria" a noi pare assurdo.  E, invece, come 30 anni fa ci sono ancora e mi emoziona. Sono su un autobus, partito dalla città in cui vivo e diretto in Basilicata, le assonanze con le mie origini sono fortissime: innanzitutto perché sono nata ai confini, oltre la montagna.  Anche io ho visto le galline e l'orto, ho visto i campi ghiacciati in una poesia di ragnatele e anche io ho visto morire un maiale e tramutarsi in salame. In ognuna di queste piccole cose c'è la dignità di un popolo che non ha mai smesso di essere contadino, né ha mai reciso il legame con la terra.  E se stamattina intorno alle 7.00 c'è un ragazzino, che come me anni fa, sale sull'autobus per andare a scuola, io mi riempio di tenerezza e mi viene in mente un bambino di 20 anni fa dalle unghie sporche di terra e pieno di  lentiggini, che si impegnava a parlare italiano e in inglese traduceva il suo nome Vincenzo in  Violet, ma che di stagioni, animali e tempo era un esperto.