giovedì 28 novembre 2013

La bella che è prigioniera




La bella che è prigioniera
lalalà, lalalà, lalalà
ha un nome che fa paura
libertà libertà libertà.

Libertà


Ieri pomeriggio dopo la decadenza del senatore Silvio Berlusconi, una parte d'Italia (indico con una parte non solo i berlusconiani, ma anche quella nutrita parte di nazione che deve riuscire a campare e ha poco tempo per ragionare di tali faccende) si è sentita liberata. Liberata da vent'anni di berlusconismo.
Non mi interessa ragionare né di berlusconismo, né del ventennio, ma tutti i riferimenti alla libertà e  alla liberazione che da una parte e dall'altra ieri hanno occupato i media e i social, quelli si mi interessano e mi stimolano. Non voglio ragionare su chi ha detto cosa e perché, voglio pensare alle parole, al loro significato.
Libertà. Per vent'anni e forse per altri venti questa parola (insieme allo slogan calcistico/politico forza italia)  ha mutato significato e sopratutto è improvvisamente divenuta proprietà dei potenti, del potere e delle loro becere faccende. Libertà nel mio personale vocabolario è la parola degli oppressi, è ciò che essi (noi) invocano, cercano, a volte si prendono, da sempre nella storia. Libertà è parola degli anarchici, dei libertari e ha sempre designato il liberarsi dal potere e dall'oppressione.
LiberazioneLiberazione designa l'atto, l'azione di presa della libertà, la fine di un'oppressione. Essa è appunto un'azione. In Italia,poi, il significato connotativo di Liberazione, attiene a tutte quelle azioni, quelle lotte e quelle morti che portarono a sconfiggere il fascismo.
Sento il bisogno di riappropriarmi delle parole, del loro significato e della loro forza. Sento il bisogno di riprendere ciò che è mio e che non spetta al potere. Non mi è importato (o quasi) in quale corpo si incarnasse il potere e non mi importa, so che voglio combatterlo e riprendermi ciò che mi è stato tolto.
A partire dalla riflessioni sulle parole sono giunta alle riflessioni sulle azioni. Non c'è di che stupirsi le parole sono atti, azioni.
Chi mi conosce sa che quando comincio con questi pensieri di conseguenza risveglio la mia anima libertaria, la mia voglia di collettivo, il bisogno di sognare un mondo diverso e di farlo insieme ad altri.
Questa volta, però, a questi bisogni vorrei aggiungere quello di una cultura collettiva. Riappropriarsi delle parole di cui parlavo prima, significa riprendere a studiare la storia o a farsela spiegare (come mi è capitato per tanti anni a margine delle riunioni), significa leggere, raccontare, filmare, cantare il mondo come lo vorremmo.