lunedì 1 ottobre 2012

L'Havana, il primo giorno tra umidità e Miguel.

"Racconto dedicato alla gentilezza e all'organizzazione dell' Agenzia Viaggi Milagro Travel Salerno" 


Arrivare all’aeroporto José Martì dell’Havana equivale a mettere il corpo in un forno.
Dopo 9 lunghe ore di viaggio, dal dormire con la coperta addosso si passa al sudare continuo. Lo spagnolo, che per ora è ancora tutto nel frasario, diventa un vociare di cui si comprendono solo alcune parole.
Armati di passaporto e valige (ormai scassate) superiamo i controlli e tutti gli addetti ci augurano una buona permanenza: “Bienvenido a Cuba!!” “Gracias”.
Cerchiamo il nostro taxi  ed una signora al nome Paolo Rossi si precipita a chiedere un autografo. Ci guardiamo divertiti e cominciamo già ad amare questo popolo.
Il viaggio in taxi dall’ aeroporto all’hotel è silenzioso e stanco.
L’albergo è centralissimo, restaurato e risalente all’epoca coloniale è un salto nel passato. Lo scrittoio sotto lo specchio e la sedia a dondolo mi portano subito ad immaginare scende di viaggiatori e dame
.
Ce ne andiamo a dormire, ma l’Havana è ancora sveglia e noi non la conosciamo. Solo la luce dell’alba ci farà scoprire il lento ricominciare della vita.
La piazza che si vede dal nostro balcone è piena di verde e freneticamente calpestata da lavoratori e tassisti. Ecco i taxi!

Sulla strada compaiono splendide auto anni 50’ dai colori fluorescenti e sgargianti. E’ un peccato che sia prestissimo, abbiamo smania di conoscere tutto e subito. Ed impareremo subito, dalla prima colazione, che il tempo a cuba è lento. Non c’è bisogno di correre da nessuna parte.
Vestiti da perfetti turisti e già sudati ci incamminiamo con l’intensione di perderci verso Plaza de la Revoluciòn. Non riusciamo a svoltare l’angolo che incontriamo Miguel.
Miguel è un giovane cubano dalla pelle nera, ma non troppo, che come tanti cubani arrotondano lo stipendio rendendosi guide della città. Paolo è tranquillo e sicuro e segue Miguel che ci porta a vedere l’Havana Centro. Io mi sento a disagio, non sono pronta a girare come una trottola per strade che non riesco nemmeno a gustare. E poi mi sento invasa, è deragliato il mio programma da Lonley Planet.
Il caldo aumenta ed io comincio ad ammalarmi di Cuba. Strade piene di vita, mercati di frutta e il Barrio Afrocubano. Murales ovunque, il piccolo principe nelle vasche da bagno, la Santeria. C’è tutta mamma Africa concentrata in 100 metri. E come sempre, dovunque mamma Africa vada si porta i suoi tamburi.  Strade con le buche e cucarachas, case che assomigliano tanto ai vasci napoletani.

L’odore dell’Havana  è diesel misto a spezie. In ogni angolo un cafè  ed un venditore ambulante di dolci fritti.
Arriviamo stravolti in Plaza de la Revoluciòn, Miguel ci lascia fare la visita da turisti. Saliamo sulla torre che domina la città. E l’Havana mi appare come una Babele bellissima.

 Intanto è quasi ora di pranzo, il cielo si è annuvolato e preannuncia la pioggia. La pioggia tropicale, quella violenta e veloce che porterà ancora tanta umidità. Scegliamo di bere un Mojito, il primo mojito e di rientrare in albergo.
Il Cafè in cui entriamo è, come tanti altri all’Havana, in un cortile. Alle pareti stampe e manifesti dei gruppi che suonano dal vivo e il cameriere stanco e annoiato. Due costanti dei cafè habaneri, la musica costantemente dal vivo e il cameriere stanco.
Dopo la sosta rinfrescante in Hotel, ci incontriamo con Miguel e sua figlia (una meravigliosa bimba di 8 anni, dai capelli ricci ricci e tutti intrecciati magistralmente) ed andiamo a pranzo.
Il Pranzo si svolge in una Paladar, abitazione per metà adibita a ristorante. E signori e signore..ecco a voi la prima langosta habanera. Trattasi di aragosta, intera, arrostita. Una delizia insieme all’arroz negro (riso con fagioli scuri).
Dopo il lauto pranzo ci salutiamo ed io e Paolo crolliamo sul letto, speranzosi in una meravigliosa notte habanera…
To be continued… (e scusate lo spagnolo maccheronico)